Nota critica

Nota critica

A cura del prof. Giuliano Adorni (Presidente del Centro Aullese di ricerche e studi lunigianesi).
“La paglia e il grano” è una realistica espressione metaforica ricorrente nelle opere di Tommaso d’Aquino per definire la parola umana, fragile come la paglia, e la parola divina, salutare come il grano.
Il grande teologo è la figura centrale del romanzo, imponente nella sua grandezza di maestro della cultura scolastica. Le sue riflessioni filosofiche erano oggetto di studio e di dibattito in tutte le università europee e le sue ricerche non erano concluse, anzi, alcuni temi appena accennati nella Summa Theologiae occupavano la sua mente con importanti sviluppi.
In particolare l’appassionava la visione tragica del destino umano elaborata dalla Patristica e su proposta di Agostino d’Ippona, adottata come dogma dalla Chiesa di Roma. Tommaso non accettava la spiegazione del male del mondo come conseguenza diretta di generazione in generazione del peccato originale, perché, a suo avviso, un’umanità innocente non doveva pagare un prezzo cosi gravoso per un’azione di rivolta a Dio compiuta da Adamo e da Eva nel paradiso terrestre. Se l’umanità era innocente non necessitava del perdono e dell’assoluzione della Chiesa, e lo stesso battesimo assumeva un altro significato.
Se queste conclusioni avessero preso campo, il potere del Clero avrebbe perso le ragioni della sua esistenza. Si rende interprete di questa paura epocale un altro personaggio importante del romanzo, l’inquisitore generale di Francia Stefano Tempier, uomo di fiducia del Papa, ma moralmente squallido, che userà tutti i mezzi, leciti ed illeciti, per colpire Tommaso e ridurlo al silenzio per sempre.
Questo scontro interno al mondo ecclesiastico si colloca in quadro politico europeo, anch’esso conflittuale, dominato dallo scontro tra le forze imperiali di casa sveva ormai al tramonto e le truppe franche guidate da Carlo d’Angiò, chiamato dal papa a difesa del suo traballante potere temporale.
Le grandi città conoscono lotte intestine atroci per le divisioni che vi si instaurano a favore del papa o dell’imperatore e in questo clima di violenze quotidiane anche l’amministrazione della giustizia, in particolare quella del tribunale dell’Inquisizione, conosce uno dei momenti più avvilenti della sua storia.
Nel romanzo in esame, questa barbarie diffusa rivive in tante vicende “particolari” nelle quali i personaggi positivi stentano a contrastare le perverse macchinazioni dei malvagi. Comunque la narrazione si diffonde coinvolgendo “amici” e “nemici” che esprimono la loro vita con rapporti più o meno diretti col grande teologo. Così, a volte, in un clima di gradevole suspense, incontriamo giovani intraprendenti, fanciulle generose, militari irruenti, inquisitori vendicativi e inquisitori tolleranti, alcuni religiosi chiusi nel loro passato e altri aperti al rinnovamento. A sorpresa nascono amicizie ed affetti delicati e coinvolgenti anche in irrequieti “novizi”. Siamo coinvolti in indagini giudiziarie per individuare insospettabili criminali ed in ricerche ai limiti del paranormale, finalizzate al ritrovamento dell’ultima opera di Tommaso rimasta inedita, tanto temuta dai suoi avversari e forse causa principale della sua prematura e misteriosa morte.
Ci sembrano questi i caratteri specifici dell’opera, complessivamente ben congegnata e quindi avvincente, intessuta di verità e di verosimiglianza, nella quale i tanti personaggi con la varietà dei loro comportamenti conferiscono spessore artistico al loro ruolo. Il mondo medievale del XIII secolo compare nella tristezza delle sue chiusure ideologiche, nei suoi fanatismi, nel suo rissoso particolarismo politico, ma nei personaggi moralmente migliori, vicini al grande Tommaso, ci sembra di avvertire un sentimento nuovo, una sorta di “proto umanesimo” che si affermerà nei secoli successivi con effetti culturali e comportamentali positivi sull’intera civiltà europea.